Il 16 febbraio 2018 si è tenuto presso l'Ordine degli psicologi della Lombardia un incontro per ricordare i vent'anni dell'entrata in vigore del
Codice deontologico degli psicologi.
La tavola rotonda, presieduta dal presidente dell'OPL Riccardo Bettiga, ha visto la presenza dei protagonisti della storia del Codice: Eugenio Calvi
(coordinatore della Commissione per la formazione del Codice), Renato Di Giovanni, Giovanni Madonna, Catello Parmentola e Guglielmo Gulotta.
I colleghi hanno ricordato il contesto di quegli anni, lo spirito con cui nacque il Codice e quali furono gli specifici contributi di ciascuno di loro
(a vent'anni di distanza, colpisce un po' l'assenza di donne nella Commissione; sappiamo quanto sia forte la presenza femminile nella professione e certamente
lo era anche allora, anche se probabilmente minore a livello istituzionale).
Con la promulgazione della Legge n. 56 del 1989, che regolamentava la professione di psicologo, si rese necessaria la stesura di un
Codice deontologico.
La Commissione per la formazione del Codice ebbe l'incarico il 18 marzo 1994, circa un mese dopo il primo Consiglio nazionale dell'Ordine.
I membri della Commissione - alcuni dei quali avevano competenze anche giuridiche - cominciarono con il leggere codici di altre istituzioni e Paesi stranieri;
provenendo da quattro diverse città (Parlemo, Salerno, Napoli e Torino), si incontravano mensilmente. Si scambiavano opinioni e lavoravano con il metodo del
"consenso". Furono redatte ben dieci bozze, prima di quella conclusiva.
Il Codice fu approvato dal Consiglio nazionale dell'Ordine il 27-28 giugno 1997 e quindi dal referendum degli iscritti all'Ordine degli psicologi
il 17 gennaio 1998, venendo infine pubblicato il 16 febbraio di quello stesso anno.
Il Codice deontologico definisce le regole di condotta che devono essere rispettate nell'esercizio dell'attività professionale: è una bussola fondamentale
per la professione. Il suo scopo è duplice: tutelare l'utenza e contribuire a dare un riferimento identitario alla categoria e al suo modus operandi. L'etica e
la deontolgia sono fondamentali in qualsiasi professione, ma in quelle "d'aiuto" forse in modo ancora più intrinseco.
Nei 42 articoli del Codice si trovano riassunti con chiarezza i principi in base ai quali deve orientarsi il lavoro dello psicologo.
Oltre a quelli di carattere generale (Capo I: Principi generali di carattere professionale, artt. 1-21), si trovano altri tre gruppi di principi guida,
elencati sotto i titoli: Capo II: Rapporti dello psicologo con l'utenza e la commitenza (artt. 22-32); Capo III: Rapporti con i colleghi (artt. 33-38);
Capo IV: Rapporti con la società (artt. 39-40). Gli ultimi due articoli riguardano le norme di attuazione.
Il Codice deontologico deve essere conosciuto e osservato dagli psicologi. Presso gli Ordini regionali e provinciali e presso il Consiglio
nazionale dell'Ordine sono costituite Commissioni per la deontologia che vigilano sul rispetto del Codice e alle quali ci si può rivolgere nel caso
di presunte violazioni. Nel caso esse vengano accertate, sono punite secondo quanto previsto dalla Legge n. 56 del 1989
(oltre che, eventualmente, in base al Codice penale).
Se se ne riscontra l'esigenza, il Codice può essere aggiornato.
Riportiamo due importanti articoli del Codice. Per leggerlo interamente: clicca qui
Articolo 3
Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere
il benessere psicologico dell'individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare
la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace.
Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell'esercizio professionale, può intervenire
significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali,
organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l'uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza
indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua
prestazione professionale. Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette
conseguenze.
Articolo 4
Nell'esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza,
all'autodeterminazione ed all'autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze,
astenendosi dall'imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità,
estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. (...)
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