La foresta incantata, Marc Chagall - Psicoanalisi, psicologo Milano Pavia

Il viaggio dell'analisi


La ricchezza della vita psichica

Un'analisi è un viaggio affascinante nella propria interiorità. Ogni essere umano ha un mondo psichico che si è formato fin dalle prime fasi della vita, di una ricchezza e di una profondità di cui a volte non sospettiamo nemmeno.


Sogni e atti mancati

Non vi è mai capitato di fare sogni complessi, a prima vista incomprensibili, vividi, pieni di particolari, personaggi, situazioni, che non si sa da dove siano scaturiti? Storie intricate, paesaggi incantevoli o paurosi, personaggi sconosciuti, parole e frasi che non vi pare di avere mai sentito, immagini misteriose...
Il sogno (“via regia che conduce alla conoscenza dell'inconscio”, diceva Freud) è un esempio estremamente potente della vitalità, varietà e creatività del mondo psichico umano.

Anche gli “atti mancati” o “lapsus” sono un modo assai interessante per indagare tale mondo. Una parola che inaspettatamente esce di bocca al posto di un'altra, una dimenticanza singolare, un comportamento curiosamente maldestro: possono essere il “punto” in cui emerge un pensiero, o un'emozione, di cui non si era consapevoli. L'atto mancato rivela qualcosa di più profondo.


Il materiale dell'analisi

I sogni e gli atti mancati sono materiale molto interessante per un'analisi, perché più che nel pensiero razionale e consapevole si manifestano in essi elementi inconsci, che possono determinare in modo importante il nostro modo di sentire, pensare e agire: desideri, vissuti traumatici o comunque spiacevoli di cui non ci ricordiamo, paure, proibizioni... Questi elementi possono generare conflitti, anch'essi inconsci, che causano malessere psichico, sintomi, angosce (vedi anche Super-io e pensieri inconsci rimossi e Realtà e pensieri inconsci rimossi).

A ogni modo, oltre a sogni e atti mancati, in un'analisi tutto ciò che il paziente (detto anche “analizzando”) porta in seduta è materiale interessante e proficuo. Pensieri, ricordi coscienti – anche i più vaghi –, racconti di episodi del presente, emozioni (anche quelle provate nei confronti del terapeuta), lo stesso silenzio. Noi siamo tutto questo, e qualsiasi elemento può fornire uno spunto per dare avvio al viaggio dell'analisi e proseguirlo, seduta dopo seduta.



Il metodo delle libere associazioni

Il metodo utilizzato nell'indagine psicoanalitica è quello delle “libere associazioni”: poter lasciare fluire nel modo più libero possibile il nostro pensiero, riferire all'analista ciò che man mano viene in mente, cercando di non autocensurarsi (vedi anche Come si svolge la vostra psicoterapia?). Infatti, più del discorso razionale, le libere associazioni recano tracce del pensiero inconscio e del suo “linguaggio”, che non segue le “regole” del pensiero conscio e razionale. Nel pensiero inconscio una parola o un'immagine possono significarne un'altra, anche opposta, per esempio.

Con il tempo, conoscendo meglio il paziente, l'analista lo aiuterà a scoprire il senso del suo discorso. L'analista non è un veggente, ma, ascoltando con empatia e lasciando a sua volta fluire il suo pensiero il più liberamente possibile, porge un ascolto particolare all'analizzando, un ascolto capace di dare un senso alle associazioni che paiono più disparate. Compito dell'analista è quindi cercare di “interpretare” il senso del discorso dell'analizzando.

Per il paziente “giocare” con le libere associazioni non è semplice, ma anche le resistenze a farlo potranno costituire materia di indagine: laddove ci si imbatta in una difficoltà a dire, a raccontare liberamente, ci si può sempre chiedere il perché e lavorare su questo. In un'analisi tutto è utile, sempre.



L'interpretazione

Il lavoro dell'analista è quindi un lavoro interpretativo, di ricerca di senso: un senso che solo l'analizzando conosce davvero, ma senza averne piena consapevolezza. E solo l'analizzando potrà confermare o meno se l'interpretazione dell'analista risuona in lui come attendibile, possibile, veritiera oppure no. A volte certe interpretazioni possono essere “illuminanti”, fornire un'“insight” (una visione) di aspetti del proprio mondo interiore che risulta al paziente straordinariamente adeguata e profonda. Altre volte le interpretazioni non sono così efficaci al momento, e però mettono in moto pensieri, emozioni, ricordi e altro materiale che, nel tempo, potranno far riconoscere la pertinenza delle interpretazioni stesse.

Il lavoro interpretativo è fondamentale, in un'analisi. Ma i suoi effetti non sono puramente “cognitivi”, intellettuali, di maggior conoscenza di sé e delle proprie dinamiche. Mettendo in relazione gli aspetti inconsapevoli del mondo psichico con quelli consapevoli, l'interpretazione favorisce appunto il “dialogo” fra di essi, ne attenua il possibile conflitto, e questo stesso fatto rende interiormente più liberi, meno condizionati da pensieri inconsci.
Freud diceva che obiettivo della cura psicoanalitica è “rendere conscio l'inconscio”: obiettivo mai completamente raggiungibile e nemmeno auspicabile, poiché l'“inconscio” è proprio degli esseri umani. Tuttavia, se conscio e inconscio imparano a “parlarsi” di più, il benessere psichico ne trae senz'altro vantaggio (vedi anche Cosa si intende con “inconscio”)?



Il transfert

Già Freud stesso si era però reso conto – fin dai suoi studi sull'isteria di fine Ottocento, ancora prima di sviluppare il metodo psicoanalitico –, che, oltre agli aspetti interpretativi, un ruolo centrale nella terapia delle persone in cura presso di lui lo giocava la relazione medico-paziente. Man mano mise a fuoco la questione ed elaborò il concetto di “transfert”: senza rendersene conto, il paziente proietta sulla figura dell'analista vissuti ed emozioni che appartengono alla propria storia e alle proprie relazioni passate, specialmente quelle con le figure genitoriali. Al di là della sua specifica personalità, l'analista diventa così, almeno in parte, un rappresentante del mondo psichico dell'analizzando, trovandosi a impersonare “ruoli” che possono anche variare nel tempo o nel corso di una medesima seduta: quello del padre, della madre, di un fratello e così via.

Freud si rese conto della grande potenza del transfert che, se non riconosciuto per tempo, poteva portare l'analizzando ad agiti nocivi per l'analisi stessa, come per esempio la brusca interruzione della cura, ripetendo schemi del passato: il paziente si sarebbe trovato così nuovamente solo ad affrontare i propri “fantasmi” e, per di più, avendone aggiunto un altro alla lista, ben pesante: “anche il medico non mi può curare”.

Freud non si lasciò scoraggiare da questa scoperta: anzi, come spesso gli accadde nel corso dei suoi studi, comprese che un fattore apparentemente negativo poteva essere utilizzato a vantaggio dell'analisi stessa: grazie al transfert l'analista ha infatti sotto gli occhi, in diretta, il vissuto del paziente. Analista e analizzando non parlano più soltanto di qualcosa successo là-e-allora, ma di qualcosa che sta succedendo di nuovo qui-e-ora, fra lui e il paziente. Che cosa, meglio del transfert, mostra come sente e vive il paziente? Quindi, anche grazie all'interpretazione del transfert, l'analizzando può capire meglio se stesso, che cosa gli accade, come mai torni a ripetere nel tempo schemi di pensiero e di azione disfunzionali, a provare emozioni e sentimenti che gli causano malessere.



Controtransfert e relazione analitica

Il concetto di transfert rimane centrale anche nel pensiero psicoanalitico attuale. Tuttavia, com'è naturale, nel corso dei decenni l'esperienza di molti altri analisti ha portato a concettualizzazioni nuove, che ridefiniscono e arricchiscono la nozione di transfert.
Innanzitutto, è impossibile che la personalità dell'analista non giochi anch'essa un ruolo sul tipo di transfert che si attiva nel paziente e sulla modalità in cui il transfert si esprime. L'analista, a differenza di una famosa immagine usata da Freud, non è mai un semplice specchio opaco su cui il paziente proietta i propri fantasmi (ma nemmeno Freud la pensava davvero così, come dimostra in altri scritti).

Per quanto accorto ed esperto nel lasciare all'analizzando la più ampia libertà di espressione, l'analista ha una propria specifica personalità. È quindi possibile che un analista “attivi” nel paziente un transfert più materno, o paterno o di altro tipo, e che non possa giocare sempre tutti i vari “ruoli” che il paziente potrebbe attribuirgli.

D'altra parte, per quanto allenato a indagare su se stesso e sui propri sentimenti, l'analista ha reazioni interiori proprie alle modalità di porsi dell'analizzando. L'analista deve interrogarsi profondamente su tali reazioni e cercare di capire se e quanto dipendono dal modo di essere del paziente e quanto invece da proprie caratteristiche personali. Questo al fine di cercare di capire meglio il transfert dell'analizzando, non “controreagendo” o sovrapponendogli il proprio. Anzi, cercando sempre di chiedersi: come mi fa sentire questo paziente? Perché mi fa sentire così? Che cosa c'è, nel modo in cui mi sento, che mi fa capire meglio il paziente stesso?

Gli studi su transfert e controtransfert (il transfert dell'analista nei confronti dell'analizzando) si sono moltiplicati a partire dagli anni '50 del Novecento, e sarebbe qui troppo lungo darne conto. Quello che è importante sapere è che la relazione analitica ha molti, complessi aspetti. L'analista si interroga costantemente su tale complessità, mantenendo “mente e cuore” aperti all'indagine a tutto campo rispetto ai vissuti dell'analizzando, ai propri, e alla relazione analitica, allo scopo di comprendere sempre meglio il paziente e le sue modalità di relazione con gli altri.



Uso del lettino e sedute frequenti

Il percorso analitico si avvantaggia dell'uso del lettino e di una certa frequenza nel numero delle sedute (almeno due la settimana, possibilmente anche di più). La posizione rilassata, al di fuori del contatto visivo con l'altro, può indurre a una maggior libertà di pensiero, a una focalizzazione sul proprio mondo interiore maggiore rispetto a quella che si può avere in una normale conversazione vis-à-vis, dove lo sguardo è portato a concentrarsi anche sull'altro e le sue reazioni (d'altra parte, non poter “controllare” visivamente le reazioni dell'altro può generare qualche difficoltà; anche per questo il gioco delle libere associazioni può non essere facile.)

Le sedute frequenti, invece, hanno un duplice effetto.
Da una parte consentono di creare più facilmente un clima collaborativo e di fiducia con l'analista. L'analisi è un viaggio affascinante ma non privo di momenti difficili, di scoperte talvolta dolorose. A volte si esce da una seduta confusi, un po' spiazzati. Poter tornare dopo pochi giorni permette di “assicurarsi” in tempi brevi che l'analista è sempre lì, fiducioso, benevolo, pronto a continuare con noi il viaggio anche se il mare pare più burrascoso o la salita più impervia.
D'altra parte la frequenza stessa delle sedute e la maggior fiducia che essa consente rendono più facile lo schiudersi del mondo interiore; più fluido, rapido e profondo il lavoro; più continuativo il dialogo interiore e con l'analista.

Inoltre, è molto utile poter lavorare il più possibile “in diretta” su ciò che man mano emerge: per esempio, un conto è raccontare il sogno fatto una o due notti prima, un conto un sogno fatto la settimana precedente. Nel primo caso è più facile ricostruire quali possono essere le fonti da cui è scaturito il sogno (avvenimenti, pensieri che hanno avuto luogo subito prima del sogno; e, in particolare, proprio ciò di cui si era parlato la seduta prima del sogno); nel secondo caso l'indagine risulta meno agevole.

© Riproduzione riservata - 10 Ottobre 2014


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