È uscito in Italia in queste settimane (primavera 2017) Lasciati andare, un simpatico film di Francesco Amato, con Toni Servillo, Verónica Echegui, Carla Signoris e Luca Marinelli.
È la storia di un singolare incontro fra un attempato e apparentemente compassato psicoanalista (Servillo) e una giovane
ed effervescente personal trainer (Echegui), incontro che risulterà felice e proficuo per entrambi.
Lasciati andare è una commedia gradevole, ben congegnata, interpretata da ottimi attori e... molto "libera", tanto da consentirsi anche il
"politicamente scorretto" (lo psicoanalista ebreo e tirchio, la spagnola sciroccata, lo slavo ladro, la donna senza figli
che cerca in qualche modo di "impossessarsi" di quelli altrui...).
Al centro dell'ironia di regista e sceneggiatori (oltre allo stesso Amato, Francesco Bruni e Davide Lantieri), però, è
soprattutto la figura dello psicoanalista - Elia Venezia - ebreo e con tanto di barba (come Freud).
Non anticipiamo qui altro, né è questa la sede per un articolo di critica cinematografica.
Solo qualche notazione a margine. Il cinema, si sa, si è sempre molto divertito a ridicolizzare gli analisti, e certamente
i motivi ci saranno (ricordiamo un delizioso libro di ormai molti anni fa di Simona Argentieri e Alvise Sapori, Freud a Hollywood).
Senza addentrarsi nel tema, e senza affatto volere che il cinema sia diverso da quello che è, possiamo comunque nel contesto di
questa pagina spezzare una lancia a favore della bistrattata figura dello psicoanalista, per come lo si ritrova poi
effettivamente nella realtà. Giusto per rassicurare un poco chi allo "psi" si rivolge!
Gli psicoanalisti, si può ben immaginare, sono persone come tutte le altre, con limiti e fragilità. Quello che dovrebbe
renderli capaci di fare il loro lavoro sufficientemente bene è però (oltre ad altre competenze) una certa dose di consapevolezza
di sé e l'essere in grado di lavorare, innanzitutto, sui propri limiti e fragilità, prima ancora che su quelli dei loro
pazienti.
Questo non significa che gli psi siano persone "risolte": ma capaci di barcamenarsi un poco meglio di altri nella loro vita
professionale e anche personale, ecco, forse questo sì.
Elia Venezia, nel film, è uno psi che non lavora su di sé, o perlomeno ha smesso di farlo. Non si interroga sul significato
del suo lavoro, sul rapporto con i propri pazienti, sulla relazione con la moglie, sui suoi bisogni di persona completa
"mente-corpo" (vedi anche Mente e corpo). Ebbene, questo... non si fa!
Agli analisti possono capitare periodi di crisi, di sconforto, anche di depressione. Sono esseri umani (del resto la loro stessa
professione parte da una domanda su di sé). Ma il lavoro con i pazienti deve essere sempre salvaguardato: il dottor Venezia,
invece, in pratica, non sta più lavorando: non ascolta, non avverte, non comprende. Caccia via le persone in malo modo.
Non fa più l'analista.
Se un analista è in crisi - tanto più se questa incide sul suo lavoro -, chiede aiuto a colleghi, supervisori,
al proprio analista, non mangia di nascosto in seduta interi cabaret di pasticcini, lasciandosi scivolare in una torpida e
cinica apatia.
Insomma, Elia Venezia, pur con tutta la simpatia che la sua figura ispira nel film, non rappresenta la "categoria".
Sappiate infine che le palestre sono piene di psi! Se in una di queste incontrate il vostro, sarà magari un po' imbarazzante,
ma sentitevi confortati: lo psi ha cura di sé, si lascia andare e gli piace farlo.
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