L'invidia...che peccato - Psicologo Milano Pavia

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L'invidia... che peccato!

Uno dei sette vizi capitali della dottrina cattolica, l'invidia è un vero "peccato", ma - nel nostro discorso - in un senso diverso del termine!

È un peccato che qualcuno soffra di invidia, perché - si potrebbe dire con un gioco di parole - colui che invidia, soffre.
L'invidia è peraltro un sentimento del tutto normale e umano. Secondo la psicoanalista Melanie Klein (Invidia e gratitudine, 1957), una forma di invidia si ritrova anche nel bambino molto piccolo, impotente e bisognoso di tutto, che avverte come ricco e pieno il seno che lo nutre e per cui prova invidia.

A parte situazioni di gravi deprivazioni o sfortune, per cui il sentimento di invidia nei confronti di chi sta meglio è del tutto comprensibile, l'invidia di cui intendiamo parlare brevemente qui è quella di chi, pur avendo qualità personali e sicurezze materiali, non riesce a vederle, a goderne, ma si confronta costantemente con gli altri che, a suo parere, sono migliori di lui e/o possiedono di più.

Nella genesi del sentimento d'invidia si intrecciano fattori personali e sociali.
La persona invidiosa soffre di qualcosa che avverte come una mancanza. Alla base vi è un senso di inadeguatezza, di scarsa autostima, che a sua volta ha origine nella storia individuale. Spesso gli invidiosi sono stati bambini che hanno provato un senso di umiliazione e vergogna di fronte ad adulti significativi, genitori, insegnanti o altri ancora. Bambini che non sono stati (o non hanno percepito di essere) sufficientemente valorizzati per le loro specifiche qualità (vedi anche Benvenuto, figlio mio! Chi sei?). Ciò che difetta è un sano narcisismo (vedi anche Narcisismo e capacità di amare).
La nostra società non aiuta, perché da decenni insegue il mito del successo: si devono continuamente dimostrare capacità eccezionali, bisogna primeggiare, distinguersi da tutti.
Inoltre il "successo" è (sempre più) spesso misurato in base al possesso di beni materiali. Una bulimia di oggetti che può nascondere vuoti interiori, bisogni affettivi o di altro tipo che non sono stati soddisfatti in maniera appropriata.

Tutto questo può portare ovviamente a rabbia e sofferenza, che danneggiano innanzitutto colui che prova invidia, sciupandogli l'esistenza, e in secondo luogo anche le relazioni che ha con gli altri, spesso caratterizzate da malcelata aggressività.

Naturalmente, non vi sono soluzioni semplici. Il primo passo, come sempre, è riconoscere i propri sentimenti (inutile tentare di reprimerli) e cercare di individuarne le origini.
Il secondo è quello di focalizzarsi sulle proprie risorse personali, valorizzandole. Ognuno di noi è diverso dall'altro, ognuno di noi ha qualità e limiti.
Possiamo riconoscere che altri hanno caratteristiche che noi non abbiamo, ammirarli, cercare di imitarli, anziché invidiarli. Anche questa capacità di riconoscimento sarà una nostra qualità.

Rispetto al bisogno compulsivo di possesso di beni materiali, interessanti ancora oggi le riflessioni dello psicoanalista Erich Fromm, che nel suo saggio Avere o essere? (1976) individuava due modalità di esistenza, entrambe proprie dell'uomo.
Da una parte la modalità dell'avere, che tende a identificare l'esistenza umana con la categoria del possesso: "Io sono le cose che possiedo, se non possiedo nulla la mia esistenza viene negata".
Dall'altra la modalità dell'essere, che tende invece alla crescita e all'arricchimento della propria interiorità. L'uomo che si riconosce in questa modalità è protagonista della propria vita e stabilisce rapporti di pace e di solidarietà con gli altri.
Scrive Fromm: "Un 'Avere' deve possedere un fiore, lo coglie, lo fa suo. Un 'Essere' ne contempla la bellezza, godendo di questo, percependolo per immaginare altri orizzonti".

"Essere", essere se stessi, con le proprie capacità e i propri limiti, ed "essere con gli altri" e con il mondo che ci circonda sono fondamentali per una vita più serena.
Facile? Certamente no, ma val la pena provarci.


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